31 maggio 2020

ETICA DELL'EFFETTO PLACEBO (STEP #21)

Nel linguaggio corrente il termine placebo (dal latino piacerò) è usato per indicare una sostanza o, più in generale, un trattamento inerte che viene prescritto che viene prescritto per compiacere il paziente, in assenza di una reale terapia. Nonostante il placebo non contenga di per sé un principio attivo, è possibile che il paziente percepisca un reale miglioramento della propria patologia (per esempio una riduzione della percezione del dolore). Questo è ciò che viene definito effetto placebo. 

La domanda a cui tendenzialmente i medici cercano di rispondere è “Il farmaco attivo è migliore del placebo?”.

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Idea di complessità della nostra mente.

Se un contesto positivo può produrre effetti positivi, un contesto negativo può produrre effetti negativi. In questo secondo caso, viene utilizzato il termine nocebo. Un effetto nocebo nasce da un’aspettativa negativa, ovvero dalla credenza che una determinata situazione possa condurre a un esito negativo.
Una risposta del genere può avvenire, ad esempio, quando il medico informa un paziente delle possibili complicazioni di un certo trattamento, o quando si assume un farmaco di cui, ovviamente, si conoscono gli eventuali effetti collaterali. In questi casi, l’aspettativa dell’effetto avverso può creare una percezione negativa del trattamento nel paziente e innescare il rilascio di alcuni neurotrasmettitori, come la dopamina o alcuni oppioidi endogeni, di cui è stato dimostrato il coinvolgimento in risposte nocebo, come l’iperalgesia (percezione eccessiva del dolore) indotta dall'ansia.

Questo effetto rischia di mettere i medici di fronte a un serio dilemma etico. Se da un lato, infatti, sono obbligati a comunicare ai pazienti tutti i possibili effetti collaterali di una terapia, il loro compito è anche quello di minimizzare i rischi derivanti dall'intervento medico, e quindi anche di evitare di scatenare risposte nocebo influenzando involontariamente il paziente.

Per risolvere il problema, i ricercatori suggeriscono due possibili soluzioni. La prima è di prestare maggior attenzione alla comunicazione tra medico e paziente, cercando ad esempio di enfatizzare la tollerabilità delle misure terapeutiche proposte. Una soluzione alternativa, più radicale, potrebbe essere quella di richiedere al paziente il permesso di tacere completamente i possibili effetti collaterali delle terapie che gli vengono proposte. A mio avviso non penso che questa seconda opzione porti ai risultati desiderati, in quanto il paziente comunque viene a sapere dei possibili effetti collaterali e quindi vi è la possibilità di un effetto nocebo indesiderato.

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